"chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori"
Rino Gaetano
Tutto finì il 2 Giugno di parecchi anni fa, e ci prese alla sprovvista. Era
il 1981, e mattina la radio ci disse che una macchina si era schiantata contro
un camion, sulla Nomentana. E che sopra c’era lui. E che ora lui non c’era
più.
E noi non ci volevamo credere.
Andava troppo forte? Non si riesce a capire. Non si capiscono molte cose –
troppe - di quell’incidente. Troppe lacune.
Sono le tre e cinquantacinque del mattino, quando la sua Volvo 343
grigio metallizzato si schianta contro il camion, e per i soccorritori inizia la
corsa contro il tempo. Rino ha un trauma cranico gravissimo, ma un intervento
tempestivo potrebbe ancora salvarlo.
E invece.
Cinque ospedali si rifiutano di ricoverarlo, particolare questo ripetuto
più volte nei resoconti, ma del quale non si trova più traccia documentale. Lo
sanno tutti, si sa. Ma le prove, come spesso accade in questa Italia che fatichiamo
a comprendere, ad un certo punto spariscono, non ci sono più. Sta di fatto che
Rino Gaetano non viene ricoverato da nessuna parte, e nel corso della notte
muore su una barella, all’accettazione del Policlinico, per le ferite
riportate.
La parte
agghiacciante è che tutto questo Rino Gaetano l'aveva raccontato in una sua
canzone di 11 anni prima: “La Ballata di Renzo”. Nei dettagli, compreso il nome
di due degli ospedali che rifiutarono di ricoverarlo.
Quel giorno
Renzo uscì, andò lungo quella strada / e una Ferrari contro lui si schiantò/ il suo assassino lo aiutò e Renzo allora partì / verso un ospedale che lo curasse per guarìr.
Quando Renzo morì io ero al bar / La strada era buia si andò al San Camillo / e lì non l’accettarono forse per l’orario / si pregò tutti i Santi ma s’andò al San Giovanni / e lì non lo vollero per lo sciopero
Quando Renzo morì io ero al bar / era ormai l’alba andarono al Policlinico / ma lo si mandò via perchè mancava il vicecapo / c’era in alto il sole si disse che Renzo era morto / ma neanche al Verano c’era posto
Quando Renzo morì io ero al bar / La strada era buia si andò al San Camillo / e lì non l’accettarono forse per l’orario / si pregò tutti i Santi ma s’andò al San Giovanni / e lì non lo vollero per lo sciopero
Quando Renzo morì io ero al bar / era ormai l’alba andarono al Policlinico / ma lo si mandò via perchè mancava il vicecapo / c’era in alto il sole si disse che Renzo era morto / ma neanche al Verano c’era posto
Io purtroppo
sono tra quelli che quella morte se la ricordano bene. Purtroppo perché a quel
tempo avevo abbastanza anni per capirla, per esserne colpito, per soffrirne. Mi
ricordo che ci si chiese se Rino fosse sotto effetto di stupefacenti, e che il
guidatore del camion sostenne che lo vide accasciarsi sul volante e cominciare
a sbandare prima dell’impatto.
Andava
troppo forte? Forse. Ma non è quello il punto.
Se dovessi raccontare con quali immagini emerge dai miei ricordi il
folletto Rino, beh, le immagini sarebbero due.
1978: Gianna, una canzone che abbiamo canticchiato tutti, una volta o
l’altra. La canzone del Festival.
Allora, cominciamo da qui.
Se dovessi raccontare con quali immagini emerge dai miei ricordi il
folletto Rino, beh, le immagini sarebbero due.
1978: Gianna, una canzone che abbiamo canticchiato tutti, una volta o
l’altra. La canzone del Festival.
Allora, cominciamo da qui.
Rino Gaetano a quel Sanremo non ci voleva andare. O meglio, non a quel
Sanremo lì, in quell’anno lì. Non voleva andare al Festival, punto, né
quell’anno né mai. Ma la Rca, in particolare il direttore artistico, aveva
insistito molto e lui, anche se poco convinto, alla fine aveva accettato.
Scatenando una reazione scandalizzata di amici e Fans.
Per chi non c’era, a quei tempi non esistevano vie di mezzo. Per anni fu
organizzato proprio a Sanremo un “ControSanremo” riserva indiana del rock, del
progressive, e della canzone d’autore. Insomma, il ruolo che negli anni ha a poco a poco
rivestito il Tenco, ma senza gli stessi massimalismi. Allora, invece, o si
stava da una parte o si stava dall’altra. O alternativo, o venduto.
Rino stava solo dalla sua parte.
Che non voleva dire, contemporaneamente, stare anche dalla parte delle cose
giuste.
Era un personaggio particolare, sperduto in un nonsense, si aggirava
ineffabile e sorridente alla ricerca di se stesso. Un cantautore corrosivo,
intelligente, acuto, ma soprattutto non allineato. Non sto dicendo che fosse insensibile
ai malumori e ai malesseri che avevano percorso il paese per tutti gli anni
settanta. Ne’ che indossasse un qualsiasi tipo di qualunquismo. Ma
semplicemente, e anarchicamente, era fuori dagli schieramenti, una persona
libera, parrebbe.
Insomma, quel Festival gli stava stretto, e parecchio.
Cercò di trattare, cercò di ottenere di poter portare al Festival Nuntereggaepiù,
che faceva parte del disco in uscita.
Abbasso e alè
abbasso e alè
abbasso e alè con le canzoni
senza fatti e soluzioni…
abbasso e alè
abbasso e alè con le canzoni
senza fatti e soluzioni…
Nuntereggaepiù.
Si tratta di canzone impossibile da dimenticare,
un tagliente ritratto del malessere italiano, invettiva contro politici,
potenti, uomini di governo e sottogoverno, impresari e cantantucoli star e
starlette, e vecchie glorie, amici degli amici, ospiti fissi alle cene e alle
trasmissioni tv, nobili papalini e laureati alla scuola di partito, insomma il
grande carrozzone di quell’Italia
venghino signori tre palle un soldo, che non cambia mai.
Figurarsi. Certe cose non si dicono, nella città dei fiori.
E visto che sappiamo come funziona, e sappiamo che il sistema che regola la musica – oggi si direbbe “lo show business” – in un modo o nell’altro la spunta sempre, Rino, che non vi voleva andare...
...a Sanremo ci andò.
venghino signori tre palle un soldo, che non cambia mai.
Figurarsi. Certe cose non si dicono, nella città dei fiori.
E visto che sappiamo come funziona, e sappiamo che il sistema che regola la musica – oggi si direbbe “lo show business” – in un modo o nell’altro la spunta sempre, Rino, che non vi voleva andare...
...a Sanremo ci andò.
Vestito da
clown.
Cilindro, giacca da orchestrale a coda di rondine, maglietta a righe
orizzontali da gondoliere, uno scroscio di medaglie al valor militare sul reverse e l’ukulele in
mano.
Un pagliaccio, certo. Ma un pagliaccio intelligentissimo tagliente, e consapevole, soprattutto, della sua
provocazione.
Fatta di limerick, fatta di giochi di parole, fatta di dico non dico e se vuoi capire capisci.
Fatta di limerick, fatta di giochi di parole, fatta di dico non dico e se vuoi capire capisci.
C’era, nella sua ribellione, un sorriso, un guizzo che molti dei suoi
colleghi cantautori non avevano. Sì, perché diciamocelo, anche se li abbiamo
molto amati: si prendevano, soprattutto allora, parecchio sul serio. Rino invece
guardava la realtà col sorriso. Con la faccia di uno che conosce le coincidenze
del 60 notturno.
Inizialmente divertito e negli anni sempre più amaro e disincantato. Rassegnato,
mai.
Andava
troppo forte? Chissà. Tutto fa pensare che potesse anche essere così. Le foto apparse sui
giornali, la mattina dopo, ci descrivono una macchina sfasciata, un cartoccio
di lamiere.
Se ne sono
dette molte, si è parlato dell’incidente come dell’ultimo – riuscito –
tentativo di ucciderlo, visto che era già scampato pochi mesi prima ad un
misterioso incidente in cui la macchina che l’aveva investito si era dileguata.
Si è ipotizzato il ruolo attivo di una associazione esoterico-massonica che
avrebbe commissionato il suo omicidio. La “Rosa Rossa”. Tutto questo a partire
dal verso di una sua canzone, Rosita:
La Rosa Rossa, / quando te la presentano sembra bellissima, / onori, gloria, soldi, potere, / poi
però un giorno scopri la verità. / E allora la tua vita cambia
radicalmente, / perchè sei in trappola.
Io non lo so se è vero. So che è successo troppo spesso, che quando un mito
se n’è andato, abbiamo ceduto alla tentazione del complotto. Così, tanto per avere
qualcuno da incolpare della perdita, che dare la colpa al destino o a Dio è
brutto.
O frustrante. Oppure, semplicemente, inutile.
Io non so se è vero ma so, tanto per dirne una, che alcune delle immagini più
caustiche e corrosive del nostro cosiddetto Risorgimento, alcune delle visioni
più taglienti e disincantate del nostro paese sono sue. In un’era di canzone
politicizzata – grande, per carità, amata, anzi adorata, ma politicizzata – lui
ha fatto politica con la filastrocca.
E lì sì, che andava parecchio forte.
Eccolo qui.
Michele Novaro incontra Mameli e insieme scrivono un pezzo | tuttora in
voga! (da Sfiorivano le viole)
Mio fratello è figlio unico [...] perché è convinto che esistono ancora gli
sfruttati, malpagati e frustrati. | Mio fratello è figlio unico sfruttato, |
represso, calpestato, odiato | e ti amo Mario. (da Mio fratello è figlio unico)
Aida, la Costituente, | la democrazia e chi ce l'ha, | e poi trent'anni di
safari, | fra antilopi e giaguari, | sciacalli e lapin. (da Aida)
Ma vi ricorderete, le immagini erano due.
Vado a raccontare la seconda, anche quella targata 1978 ed anche quella
indelebile.
Si tratta della partecipazione ad un salotto televisivo – probabilmente il
primo - dove cominciava a fondarsi e
strutturarsi uno dei più influenti gangli di potere della storia italiana - non solo televisiva - di
fine secolo. Un nodo di potere che si è diramato dalla politica alla
musica allo spettacolo, influenzandone e spesso determinandone le sorti con
l’immenso peso mediatico che nacque, probabilmente proprio in quegli anni, in
quel programma, e in quelle interviste da salottino, sul morire degli anni
settanta.
Sto parlando
di Bontà loro, il primo salotto tv di Maurizio Costanzo.
Rino presentò proprio Nuntereggepiù, proprio la canzone rifiutata a Sanremo
perché “non si può dire, eh no…”, quella canzone che ne aveva per tutti senza
essere qualunquista, parola orribile allora come oggi. Accusa infamante dalla
quale non si sopravviveva. Forse oggi sì.
Rino presentò proprio Nuntereggepiù, proprio la canzone rifiutata a Sanremo
perché “non si può dire, eh no…”, quella canzone che ne aveva per tutti senza
essere qualunquista, parola orribile allora come oggi. Accusa infamante dalla
quale non si sopravviveva. Forse oggi sì.
Quella canzone era il suo atto di accusa forse più diretto all’Italietta
dei contrapposti poteri e delle contrapposte conventicole. E ancora delle contrapposte chiese con tanto di bolla
di infallibilità, e contrapposte scomuniche, siano esse per mandato divino, o
della storia, o del popolo.
Ebbene, il folletto calabrese, proprio in faccia a mister “buona camicia a
tutti” nazionale, al telepredicatore in rampa di lancio per gli stupidi anni
ottanta (e novanta, e duemila…) cantò:
La sposa in bianco, il maschio forte, | i ministri puliti, i buffoni di
corte, | ladri di polli, super pensioni, | ladri di stato e stupratori, | il
grasso ventre dei commendatori, | diete politicizzate, evasori legalizzati. auto blu sangue blu cieli blu amore blu rock and blues
NUNTEREGGAEPIU'
Assistetti con un sottile gusto a
quell’esibizione. Perché mi illudevo, non è così, ma permettetemi di sognare, e
se avete le prove che sto sbagliando non ditemelo, che Maurizio Costanzo non
conoscesse in anticipo il testo della canzone.
(In realtà, detto tra noi, lo ammetto: dopo anni
di tv e soprattutto di tv musicale, lo so benissimo, che Costanzo il testo lo
conosceva prima. Ma uffa, come la racconto io è meglio, no?)
Insomma. Rino cantava e “Buona camicia a tutti”
annuiva assorto e compreso di fronte a quel je accuse che invece il suo ospite
metteva in scena come uno sberleffo. Perché il problema, nella
nostra Italietta, è sempre stato che il potere ad un certo punto ha inglobato in sé, al fine di
gestirlo, anche il dissenso. E forse, non solo in
Italia, come d’altra parte aveva capito molto bene George Orwell nel suo 1984.
Dunque, accadeva che mentre la canzone menava fendenti a destra e a manca, Maurizio
Costanzo annuiva con impegno alle parole di Rino, come a dire: io sono d’accordo
con lui, eh, accidenti se sono d’accordo, io che sono contro il potere, come no. Contro le
conventicole, l’establishment: fa bene, eccome. Gliele sta – anche fuor di metafora – cantando.
Eya alalà pci psi dc dc pci psi pli pri dc dc dc dc Cazzaniga
avvocato Agnelli Umberto Agnelli Susanna Agnelli Monti Pirelli...
E Costanzo, sornione, che approva con gli occhi. Eccerto. Come non
approvare che “sono tutti uguali signora mia, è tutto un magna magna…” è così
che si arriva al cuore delle masse… perché l’ultimo trucco del potere è buttare
tutto in caciara, trasformare la critica e la ribellione in qualunquismo.
E invece Rino ne aveva per tutti ed era giusto così. Anche se annuiva perfino
Costanzo, va detto: aveva ragione Rino. Però…
…dribbla Causio che passa a Tardelli
Musiello Antognoni Zaccarelli
Gianni Brera Bearzot Monzon
Panatta Rivera D'Ambrosio Lauda Thoeni Maurizio Costanzo…
Ahi ahi.
C’era anche il baffetto nazionale, nella lista dei catafalchi di cui liberarsi
per far respirare finalmente aria fresca all'Italia.
…Mike Bongiorno Villaggio Raffa Guccini
onorevole eccellenza cavaliere senatore nobildonna eminenza
monsignore vossia cherie mon amour
NUNTEREGGAEPIU'
NUNTEREGGAEPIU'
Me lo ricordo perfettamente.
Baffetto fece un gesto indulgente, ironico
ed accondiscendente, portando la mano alla fronte come per un saluto militare,
o amichevole..
Per inciso devo ammettere che io invece rabbrividii, sentendo che Rino
Gaetano aveva infilato Guccini a fianco a Raffaella Carrà. Ma sono dettagli, e
col senno di poi bisogna dire che l'altarino gliel'avevamo fatto sul serio, a
Francescone nostro. Non che l'avesse mai chiesto.
Ma fatto sta che eravamo nel 1978, e la sostanza era che c’era in tv uno che stava dicendo: basta, non ci crediamo più, ai vostri teatrini, gettate la maschera.
Ma fatto sta che eravamo nel 1978, e la sostanza era che c’era in tv uno che stava dicendo: basta, non ci crediamo più, ai vostri teatrini, gettate la maschera.
Non vi reggiamo più.
Andava troppo forte? Eh sì, quella volta sì. Credo che l’eclissi che subì
negli ultimi anni della sua vita (non sto parlando dell’omicidio, ma della sua
sparizione dai media nazionali, che avvenne ben prima che fosse ucciso) abbia
avuto origine da quelle parti. In quell’impertinenza non inquadrabile, non
gestibile, e perfino non collocabile politicamente.
Andava troppo forte? Eh, mi sa di sì, Rino. E c’era anche la curva.
Perché hai voglia di dire che Rino Gaetano ha brillato come una supernova e
poi si è spento, prima di sparire in quel modo come ha scritto un acuto critico
musicale.
Dopo Nuntereggaepiù, chissà se ci avete fatto caso, più nessuna notizia di
lui. Chissà. Troppo brusco perché fosse solo una questione di fine della luna
di miele col pubblico.
Mi piace pensarla così.
Ecco. Ora,
lo so, qualcuno dirà che ho scritto che Rino Gaetano era il primo grillino.
Mio Dio,
aspettate un attimo.
Ho scritto
solo che era un uomo libero.
Un anarchico, un artista fuori dagli schieramenti, uno al quale non serviva
nient’altro che l’intelligenza e il cuore puro - perché non serve nient’altro
che l’intelligenza e il cuore puro - per guardarsi attorno e capire.
Poi, da quel
1978, sono passati altri quarant’anni, e stiamo a parlare sempre delle stesse
cose.
La sposa in bianco, il maschio forte, | i ministri puliti, i buffoni di
corte, | ladri di polli, super pensioni, | ladri di stato e stupratori, | il
grasso ventre dei commendatori, | diete politicizzate, evasori legalizzati. auto blu sangue blu cieli blu amore blu rock and blues
NUNTEREGGAEPIU'
E allora mi chiedo
se quella notte del due Giugno Rino stesse andando davvero troppo forte, o se siamo
noi che stiamo andando troppo piano e non siamo neanche più capaci di chiederci perchè incominci a superarci gente a piedi.
Lui, forte, c'è sempre andato.
Per tutta la sua vita.
Lui, forte, c'è sempre andato.
Per tutta la sua vita.
Fatti e misfatti di una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Il 2 giugno ricordiamo anche la "ballata di Rino". La storia siamo noi... con i nostri ricordi, con la nostra memoria affettiva. Grazie Paolo per questa testimonianza viva di una morte incerta.
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