domenica 2 giugno 2013

LA BALLATA DI RINO




"chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori"
Rino Gaetano



Tutto finì il 2 Giugno di parecchi anni fa, e ci prese alla sprovvista. Era il 1981, e mattina la radio ci disse che una macchina si era schiantata contro un camion, sulla Nomentana. E che sopra c’era lui. E che ora lui non c’era più.
E noi non ci volevamo credere.
Andava troppo forte? Non si riesce a capire. Non si capiscono molte cose – troppe - di quell’incidente. Troppe lacune.
Sono le tre e cinquantacinque del mattino, quando la sua Volvo 343 grigio metallizzato si schianta contro il camion, e per i soccorritori inizia la corsa contro il tempo. Rino ha un trauma cranico gravissimo, ma un intervento tempestivo potrebbe ancora salvarlo.
E invece.
Cinque ospedali si rifiutano di ricoverarlo, particolare questo ripetuto più volte nei resoconti, ma del quale non si trova più traccia documentale. Lo sanno tutti, si sa. Ma le prove, come spesso accade in questa Italia che fatichiamo a comprendere, ad un certo punto spariscono, non ci sono più. Sta di fatto che Rino Gaetano non viene ricoverato da nessuna parte, e nel corso della notte muore su una barella, all’accettazione del Policlinico, per le ferite riportate. 







La parte agghiacciante è che tutto questo Rino Gaetano l'aveva raccontato in una sua canzone di 11 anni prima: “La Ballata di Renzo”. Nei dettagli, compreso il nome di due degli ospedali che rifiutarono di ricoverarlo.

Quel giorno Renzo uscì, andò lungo quella strada / e una Ferrari contro lui si schiantò/ il suo assassino lo aiutò e Renzo allora partì / verso un ospedale che lo curasse per guarìr.
Quando Renzo morì io ero al bar  / La strada era buia si andò al San Camillo  / e lì non l’accettarono forse per l’orario  / si pregò tutti i Santi ma s’andò al San Giovanni  / e lì non lo vollero per lo sciopero
Quando Renzo morì io ero al bar  / era ormai l’alba andarono al Policlinico  / ma lo si mandò via perchè mancava il vicecapo  / c’era in alto il sole si disse che Renzo era morto  / ma neanche al Verano c’era posto

Io purtroppo sono tra quelli che quella morte se la ricordano bene. Purtroppo perché a quel tempo avevo abbastanza anni per capirla, per esserne colpito, per soffrirne. Mi ricordo che ci si chiese se Rino fosse sotto effetto di stupefacenti, e che il guidatore del camion sostenne che lo vide accasciarsi sul volante e cominciare a sbandare prima dell’impatto. 

Andava troppo forte? Forse. Ma non è quello il punto.

Se dovessi raccontare con quali immagini emerge dai miei ricordi il folletto Rino, beh, le immagini sarebbero due.
1978: Gianna, una canzone che abbiamo canticchiato tutti, una volta o l’altra. La canzone del Festival.
Allora, cominciamo da qui.
Se dovessi raccontare con quali immagini emerge dai miei ricordi il folletto Rino, beh, le immagini sarebbero due.
1978: Gianna, una canzone che abbiamo canticchiato tutti, una volta o l’altra. La canzone del Festival.
Allora, cominciamo da qui.
Rino Gaetano a quel Sanremo non ci voleva andare. O meglio, non a quel Sanremo lì, in quell’anno lì. Non voleva andare al Festival, punto, né quell’anno né mai. Ma la Rca, in particolare il direttore artistico, aveva insistito molto e lui, anche se poco convinto, alla fine aveva accettato.
Scatenando una reazione scandalizzata di amici e Fans.
Per chi non c’era, a quei tempi non esistevano vie di mezzo. Per anni fu organizzato proprio a Sanremo un “ControSanremo” riserva indiana del rock, del progressive, e della canzone d’autore. Insomma, il  ruolo che negli anni ha a poco a poco rivestito il Tenco, ma senza gli stessi massimalismi. Allora, invece, o si stava da una parte o si stava dall’altra. O alternativo, o venduto.

Rino stava solo dalla sua parte.







Che non voleva dire, contemporaneamente, stare anche dalla parte delle cose giuste.
Era un personaggio particolare, sperduto in un nonsense, si aggirava ineffabile e sorridente alla ricerca di se stesso. Un cantautore corrosivo, intelligente, acuto, ma soprattutto non allineato. Non sto dicendo che fosse insensibile ai malumori e ai malesseri che avevano percorso il paese per tutti gli anni settanta. Ne’ che indossasse un qualsiasi tipo di qualunquismo. Ma semplicemente, e anarchicamente, era fuori dagli schieramenti, una persona libera, parrebbe.
Insomma, quel Festival gli stava stretto, e parecchio.

Cercò di trattare, cercò di ottenere di poter portare al Festival Nuntereggaepiù, che faceva parte del disco in uscita. 

Abbasso e alè
abbasso e alè
abbasso e alè con le canzoni
senza fatti e soluzioni…

Nuntereggaepiù.
Si tratta di canzone impossibile da dimenticare, un tagliente ritratto del malessere italiano, invettiva contro politici, potenti, uomini di governo e sottogoverno, impresari e cantantucoli star e starlette, e vecchie glorie, amici degli amici, ospiti fissi alle cene e alle trasmissioni tv, nobili papalini e laureati alla scuola di partito, insomma il grande carrozzone di quell’Italia
venghino signori tre palle un soldo, che non cambia mai. 
Figurarsi. Certe cose non si dicono, nella città dei fiori.  

E visto che sappiamo come funziona, e sappiamo che il sistema che regola la musica – oggi si direbbe “lo show business” – in un modo o nell’altro la spunta sempre, Rino, che non vi voleva andare... 

...a Sanremo ci andò.
Vestito da clown.
Cilindro, giacca da orchestrale a coda di rondine, maglietta a righe orizzontali da gondoliere, uno scroscio di medaglie al valor militare sul reverse e l’ukulele in mano.
Un pagliaccio, certo. Ma un pagliaccio intelligentissimo tagliente, e consapevole, soprattutto, della sua provocazione. 
Fatta di limerick, fatta di giochi di parole, fatta di dico non dico e se vuoi capire capisci.
C’era, nella sua ribellione, un sorriso, un guizzo che molti dei suoi colleghi cantautori non avevano. Sì, perché diciamocelo, anche se li abbiamo molto amati: si prendevano, soprattutto allora, parecchio sul serio. Rino invece guardava la realtà col sorriso. Con la faccia di uno che conosce le coincidenze del 60 notturno.
Inizialmente divertito e negli anni sempre più amaro e disincantato. Rassegnato, mai.



Andava troppo forte? Chissà. Tutto fa pensare che potesse anche essere così. Le foto apparse sui giornali, la mattina dopo, ci descrivono una macchina sfasciata, un cartoccio di lamiere.
Se ne sono dette molte, si è parlato dell’incidente come dell’ultimo – riuscito – tentativo di ucciderlo, visto che era già scampato pochi mesi prima ad un misterioso incidente in cui la macchina che l’aveva investito si era dileguata. Si è ipotizzato il ruolo attivo di una associazione esoterico-massonica che avrebbe commissionato il suo omicidio. La “Rosa Rossa”. Tutto questo a partire dal verso di una sua canzone, Rosita:

La Rosa Rossa, / quando te la presentano sembra bellissima, /  onori, gloria, soldi, potere, / poi però un giorno scopri la verità. / E allora la tua vita cambia radicalmente, / perchè sei in trappola.



Io non lo so se è vero. So che è successo troppo spesso, che quando un mito se n’è andato, abbiamo ceduto alla tentazione del complotto. Così, tanto per avere qualcuno da incolpare della perdita, che dare la colpa al destino o a Dio è brutto.
O frustrante. Oppure, semplicemente, inutile.
Io non so se è vero ma so, tanto per dirne una, che alcune delle immagini più caustiche e corrosive del nostro cosiddetto Risorgimento, alcune delle visioni più taglienti e disincantate del nostro paese sono sue. In un’era di canzone politicizzata – grande, per carità, amata, anzi adorata, ma politicizzata – lui ha fatto politica con la filastrocca. 

E lì sì, che andava parecchio forte.
Eccolo qui.

Michele Novaro incontra Mameli e insieme scrivono un pezzo | tuttora in voga! (da Sfiorivano le viole)

Mio fratello è figlio unico [...] perché è convinto che esistono ancora gli sfruttati, malpagati e frustrati. | Mio fratello è figlio unico sfruttato, | represso, calpestato, odiato | e ti amo Mario. (da Mio fratello è figlio unico)

Aida, la Costituente, | la democrazia e chi ce l'ha, | e poi trent'anni di safari, | fra antilopi e giaguari, | sciacalli e lapin. (da Aida)

Ma vi ricorderete, le immagini erano due.
Vado a raccontare la seconda, anche quella targata 1978 ed anche quella indelebile.
Si tratta della partecipazione ad un salotto televisivo – probabilmente il primo -  dove cominciava a fondarsi e strutturarsi uno dei più influenti gangli di potere della storia italiana - non solo televisiva - di fine secolo. Un nodo di potere che si è diramato dalla politica alla musica allo spettacolo, influenzandone e spesso determinandone le sorti con l’immenso peso mediatico che nacque, probabilmente proprio in quegli anni, in quel programma, e in quelle interviste da salottino, sul morire degli anni settanta.
Sto parlando di Bontà loro, il primo salotto tv di Maurizio Costanzo.




Rino presentò proprio Nuntereggepiù, proprio la canzone rifiutata a Sanremo perché “non si può dire, eh no…”, quella canzone che ne aveva per tutti senza essere qualunquista, parola orribile allora come oggi. Accusa infamante dalla quale non si sopravviveva. Forse oggi sì.


Rino presentò proprio Nuntereggepiù, proprio la canzone rifiutata a Sanremo perché “non si può dire, eh no…”, quella canzone che ne aveva per tutti senza essere qualunquista, parola orribile allora come oggi. Accusa infamante dalla quale non si sopravviveva. Forse oggi sì.
Quella canzone era il suo atto di accusa forse più diretto all’Italietta dei contrapposti poteri e delle contrapposte conventicole. E ancora  delle contrapposte chiese con tanto di bolla di infallibilità, e contrapposte scomuniche, siano esse per mandato divino, o della storia, o del popolo.
Ebbene, il folletto calabrese, proprio in faccia a mister “buona camicia a tutti” nazionale, al telepredicatore in rampa di lancio per gli stupidi anni ottanta (e novanta, e duemila…) cantò:

La sposa in bianco, il maschio forte, | i ministri puliti, i buffoni di corte, | ladri di polli, super pensioni, | ladri di stato e stupratori, | il grasso ventre dei commendatori, | diete politicizzate, evasori legalizzati. auto blu sangue blu cieli blu amore blu rock and blues NUNTEREGGAEPIU'


Assistetti con un sottile gusto a quell’esibizione. Perché mi illudevo, non è così, ma permettetemi di sognare, e se avete le prove che sto sbagliando non ditemelo, che Maurizio Costanzo non conoscesse in anticipo il testo della canzone.


(In realtà, detto tra noi, lo ammetto: dopo anni di tv e soprattutto di tv musicale, lo so benissimo, che Costanzo il testo lo conosceva prima. Ma uffa, come la racconto io è meglio, no?)
Insomma. Rino cantava e “Buona camicia a tutti” annuiva assorto e compreso di fronte a quel je accuse che invece il suo ospite metteva in scena come uno sberleffo. Perché il problema, nella nostra Italietta, è sempre stato che il potere ad un certo punto ha inglobato in sé, al fine di gestirlo, anche il dissenso. E forse, non solo in Italia, come d’altra parte aveva capito molto bene George Orwell nel suo 1984. Dunque, accadeva che mentre la canzone menava fendenti a destra e a manca, Maurizio Costanzo annuiva con impegno alle parole di Rino, come a dire: io sono d’accordo con lui, eh, accidenti se sono d’accordo, io che sono contro il potere, come no. Contro le conventicole, l’establishment: fa bene, eccome. Gliele sta – anche fuor di metafora – cantando.




Eya alalà pci psi dc dc pci psi pli pri dc dc dc dc  Cazzaniga  avvocato Agnelli Umberto Agnelli Susanna Agnelli Monti Pirelli...





E Costanzo, sornione, che approva con gli occhi. Eccerto. Come non approvare che “sono tutti uguali signora mia, è tutto un magna magna…” è così che si arriva al cuore delle masse… perché l’ultimo trucco del potere è buttare tutto in caciara, trasformare la critica e la ribellione in qualunquismo.
E invece Rino ne aveva per tutti ed era giusto così. Anche se annuiva perfino Costanzo, va detto: aveva ragione Rino. Però…

…dribbla Causio che passa a Tardelli  Musiello Antognoni Zaccarelli  Gianni Brera Bearzot  Monzon Panatta Rivera D'Ambrosio Lauda Thoeni Maurizio Costanzo…


Ahi ahi. C’era anche il baffetto nazionale, nella lista dei catafalchi di cui liberarsi per far respirare finalmente aria fresca all'Italia.

…Mike Bongiorno Villaggio Raffa Guccini  onorevole eccellenza cavaliere senatore nobildonna eminenza monsignore  vossia cherie mon amour
NUNTEREGGAEPIU'

Me lo ricordo perfettamente.
Baffetto fece un gesto indulgente,  ironico ed accondiscendente, portando la mano alla fronte come per un saluto militare, o amichevole..
Per inciso devo ammettere che io invece rabbrividii, sentendo che Rino Gaetano aveva infilato Guccini a fianco a Raffaella Carrà. Ma sono dettagli, e col senno di poi bisogna dire che l'altarino gliel'avevamo fatto sul serio, a Francescone nostro. Non che l'avesse mai chiesto.
Ma fatto sta che eravamo nel 1978, e la sostanza era che c’era in tv uno che stava dicendo: basta, non ci crediamo più, ai vostri teatrini, gettate la maschera.
Non vi reggiamo più.


Andava troppo forte? Eh sì, quella volta sì. Credo che l’eclissi che subì negli ultimi anni della sua vita (non sto parlando dell’omicidio, ma della sua sparizione dai media nazionali, che avvenne ben prima che fosse ucciso) abbia avuto origine da quelle parti. In quell’impertinenza non inquadrabile, non gestibile, e perfino non collocabile politicamente.




Andava troppo forte? Eh, mi sa di sì, Rino. E c’era anche la curva.
Perché hai voglia di dire che Rino Gaetano ha brillato come una supernova e poi si è spento, prima di sparire in quel modo come ha scritto un acuto critico musicale.
Dopo Nuntereggaepiù, chissà se ci avete fatto caso, più nessuna notizia di lui. Chissà. Troppo brusco perché fosse solo una questione di fine della luna di miele col pubblico.
Mi piace pensarla così.
Ecco. Ora, lo so, qualcuno dirà che ho scritto che Rino Gaetano era il primo grillino.

Mio Dio, aspettate un attimo.
Ho scritto solo che era un uomo libero.
Un anarchico, un artista fuori dagli schieramenti, uno al quale non serviva nient’altro che l’intelligenza e il cuore puro - perché non serve nient’altro che l’intelligenza e il cuore puro - per guardarsi attorno e capire.
Poi, da quel 1978, sono passati altri quarant’anni, e stiamo a parlare sempre delle stesse cose. 

La sposa in bianco, il maschio forte, | i ministri puliti, i buffoni di corte, | ladri di polli, super pensioni, | ladri di stato e stupratori, | il grasso ventre dei commendatori, | diete politicizzate, evasori legalizzati. auto blu sangue blu cieli blu amore blu rock and blues NUNTEREGGAEPIU'
E allora mi chiedo se quella notte del due Giugno Rino stesse andando davvero troppo forte, o se siamo noi che stiamo andando troppo piano e non siamo neanche più capaci di chiederci perchè incominci a superarci gente a piedi.
Lui, forte, c'è sempre andato.

Per tutta la sua vita.

1 commento:

  1. Fatti e misfatti di una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Il 2 giugno ricordiamo anche la "ballata di Rino". La storia siamo noi... con i nostri ricordi, con la nostra memoria affettiva. Grazie Paolo per questa testimonianza viva di una morte incerta.

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