venerdì 19 aprile 2013

I BUONI E I CATTIVI - UN'IDEA SU HOMELAND








Sono consapevole di infilarmi in un ginepraio, soprattutto dopo gli sconcertanti avvenimenti di Boston (riguardo alle quali, sia chiaro, vorrei esprimere una condanna senza se, senza ma, e senza distinguo), ma la cosa che mi ha più colpito di Homeland è che, ancor più della prima, in cui questa tendenza era già marchio di fabbrica, in questa seconda stagione è veramente impossibile capire chi ha ragione fino in fondo, e chi viene mosso da ideali non contaminati da calcoli personali o da cadaveri nell’armadio.
Ma d’altra parte questa, in cui la serie sta stracciando ogni record di ascolti non è più - per fortuna - l’America dello sceriffo ottuso George Bush junior, dove il bianco era candido a costo di chiudere gli occhi all’evidenza e il nero così nero da non credere che possa esistere in natura. 

Non a caso Homeland, serie remake della israeliana Hatifum, che ha negli Stati uniti superato qualsiasi più rosea aspettativa, facendo incetta di premi, e superando, nella seconda stagione, i già notevolissimi risultati di ascolto della prima, è ufficialmente la serie tv preferita da Barak Obama.

Serie in cui il dubbio metodico prevale sulle certezze della grande provincia quacchera statunitense, ed in cui la verità è più sfumata di quel che raccontano lo sventolio della star and stripes e le fanfare dei Marines.
Certo, una serie sulla minaccia araba non è, dopo l’11 settembre, la cosa più originale del mondo, ma originale, certamente, ne è la lettura.
Non è più tempo, per fortuna, per film pseudo eroici in cui il machismo testosteronico dei sani figli dell’America tirati su a corn flakes  viene contrapposto a truci arabi sempre e comunque cattivi e spietati, privi di umanità, doppiogiochisti e che sicuramente puzzano anche  un po’.
Il plot di Homeland è ben noto, ma chi ancora non ha visto il pirotecnico finale di stagione può star tranquillo, non farò nessun tipo di spoiler. 

Si narra del duello, quasi un gioco di scacchi, tra l'analista della Cia Carrie Mathison (Claire Danes) e un reduce di guerra, Nicholas Brody (Damian Lewis), tornato a casa dopo anni di segregazione da parte di Al Qaeda.
Il rientro di Brody  è da martire e da eroe americano, ma lei l’agente Cia tormentato –  che si accusa di non avere saputo prevedere l’attentato delle due torri - sospetta che in realtà sia passato al nemico, e che sia tornato in patria come quinta colonna, allo scopo di compiere un altro attentato, altrettanto sanguinoso. Ha ragione, ma nessuno le crede, anche perché la poverina soffre di un disturbo bipolare che la rende poco affidabile.
E per giunta, mentre tra i due si instaura una complessa relazione di competizione, passione e sesso, Brody, sull’onda dell’immagine nazional popolare dell’eroe stelle e strisce sopravvissuto ai cattivoni, si vede aprire la strada del congresso e della carriera politica, che fa intravvedere, in fondo alla strada, il peggior incubo di qualsiasi americano per bene: un terrorista di Al Queda alla Casa Bianca.
Ma quel che mi interessa, come sceneggiatore e come spettatore di serie tv (in questo momento ben più stimolanti di molto cinema, nostrano e non) è che Homeland, più di ogni altra serie negli ultimi anni, ha del tutto archiviato il clichè del buono buono, e del cattivo cattivo, per sostituirlo con il grigio – sia pur di varie tonalità – di cui è fatta la vita.
Ed è andata molto oltre, non offrendo al povero spettatore, anestetizzato dalle tranquillizzanti categorie manichee della fiction nazional popolare (anzi, di certa fiction. Altra, per fortuna mia e vostra, si salva ancora.), non dei cliché,  ma disegnando dei personaggi appassionanti e complessi, appassionanti anche perché ambigui, concedetemelo. Non inquadrabili.
Carrie ama Brody? O lo sta usando per sconfiggere il terrorismo? Brody ama Carrie? O è la sua garanzia di non finire a Guantanamo? E Jessica, la moglie di Brody, lo ama o fa un altro gioco?
E Saul, il capo di Carrie, si fida ancora di lei? O la sta sfruttando per non si sa quale scopo? E l’Fbi da che parte sta?

Lo sceneggiatore sa bene che le storie tv (ma in generale, tutte le storie…) sono costruite su setup (semina di aspettative da parte del pubblico) e payoff (passaggio alla cassa emozionale, con la riscossione delle conseguenze drammaturgiche della semina iniziale).
Il bello di Homeland è che ad oggi, dopo due serie, ne’ io ne’ gli altri spettatori sappiamo dire se abbiamo investito emozionalmente sui buoni o sui cattivi.
Proprio così. La domanda di fondo è da che parte sta il giusto e il diritto. E Homeland non vuole, e forse non può, dare risposta. Perché in Homeland è tutto sfumato, contraddittorio, poco definito. Come capita, nella gran parte dei casi, nella realtà quotidiana.
Ma c’è di più. Verso la fine della serie, c’è  un confronto acceso tra la nostra Carrie e Abu Nazir, lo sceicco capo della cellula di Al Queda che sta organizzando un attentato sul suolo americano.
Quest’ultimo, all’accusa di Carrie di essere un terrorista risponde con la domanda: e voi, che bombardate gli asili coi vostri droni, non lo siete?
Una domanda non nuova, certamente, ma che per la prima volta ci appare, per come è stata messa in scena, legittimamente posta: in termini - diciamo così - politicamente corretti. Il che non significa che la risposta sia necessariamente sì, ne’ che chi vi scrive sia filo - Al Queda.
Significa però che per la prima volta, esplicitamente e legittimamente, l’America si interroga sui suoi crimini e sulle sue colpe, che ovviamente non giustificano la bestialità degli attentati, ma che riportano la visione del mondo contemporaneo in una prospettiva leggermente più equilibrata e meno yankee-centrica.
E’ l’America di Obama, dicevamo. Si guarda e non si vede poi così bella o così diversa da quella di Bush. E’ ancora un’America dove i politici giocano una battaglia di potere e di profitto personale, e dove i servizi segreti rispondono autoreferenzialmente solo a sé stessi.
Ma è anche un’America, e questa mi sembra davvero la novità,che si interroga sulle ragioni del nemico, si chiede cosa ci sia nel cuore del carnefice.
E lo fa non sullo striscione di un manifestante oltranzista o radicale, ma in una fiction di prima serata da record di ascolti.
Se vi pare poco, a me no.


estratto dalla mia rubrica: Stanlio e Logli
su: Liberos, la comunità dei lettori Sardi.

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