Adeste,
fideles, laeti triumphantes...
Venite, venite
in Bethlehem.
Natum videte Regem angelorum...
E’ freddo, e le goccioline portate dal mare si condensano
sul viso. Mi maledico, non volevo venirci. Lo sapevo, non dovevo venirci. E’
sempre così, le cose le intuisco, anche questa volta mi si è stampata
chiarissima nel cervello. Le intuisco ma poi non le faccio. Non dovevo venirci.
Non per il bambinello, per carità.
Non mi fa né caldo né freddo, il bambinello.
M’infastidiscono, invece, quelle espressioni estatiche
sul viso delle vecchiette. E quei sorrisi spaesati che frullano da uno sguardo
all’altro sul viso delle famigliole che si stringono per combattere il vento di
mare.
Guardo l’orologio; è quasi mezzanotte.
Ad un centinaio di metri dalla riva, come fuochi fatui,
brillano le candelette di soccorso dei sub. Fuochi verdi, artificiali, che si
agitano sotto la superficie dell’acqua. Come il link di un cursore su uno di
quei vecchi computer di una volta.
C’e’ uno sciabordio placido, che si aggroviglia tra i
ventri delle vecchie barche ancorate alla catenaria. Sullo scivolo di cemento
interrotto a tratti regolari da doghe di legno, che serve per mettere in acqua
i natanti, anche le alghe che sono cresciute d’estate ora sono fradice, marcite
dal freddo. Sono una guazza verde e maleodorante, scivolosa.
Il prete si avvicina, appoggiando i piedi con cautela. Il
mare è calmo, neppure un’onda increspa la superficie, fa troppo freddo anche
per loro.
Ed io do un’ennesima ravviata alla sciarpa, mentre
accendo una sigaretta. E mi rendo conto di quanto la maledirò.
Venite
adoremus, venite adoremus,
Venite adoremus,
Dominum.
Non credevo ci saremmo arrivati, a questo Natale.
Otto mesi fa, quando è successo tutto, ho creduto che
sarei morto. Quanto sono banale, sono come tutti. Figurarsi se è interessante
sentire la storia di due che si lasciano dopo essersi martoriati nel tentativo
di capirsi. Però non ne ho altre, di storie, e questa è la mia.
Nella scena, io sono quello con l’espressione annoiata che guarda i
paesani che con occhio pio scrutano il pelo dell’acqua, per vedere emergere il
bambinello dagli abissi. E che si sente morire, dice. Ma sono solo cazzate.
Invece non si muore per amore… (…è una gran bella
verità… canticchia Battisti in un angolo della mia testa…). No, che non si
muore. Troppo facile. Invece, si continua a vivere, con un nodo sotto lo sterno.
Come un pugno allo stomaco - che però non rimbalza.
Che rimane incastrato lì, tra le carni. E tu te la porti
dietro, quella persona che ti ha colpito al diaframma. Te la trascini dietro
per le vie, con la sua mano incastrata nella tua pancia. E lei non lo sa, che
sta incastonata lì, sotto le costole. Così ti cammina a fianco, con il braccio
ripiegato in un innaturale angolo, un po’ china per non farselo troncare. E
ogni passo che fai il rimbalzo del tuo piede sul terreno la agita, quella mano
che ti fruga i visceri. E il dolore risale lungo la spina dorsale, fino al
cervello. Un dolore sordo s’inerpica lungo la base del collo e ristagna in
gola. E non puoi piangere. Perché non sei un bambino, e la mamma non arriva.
Non arriva più.
Venite fedeli, l'angelo ci invita,
Venite venite a Betlemme!
Non credevo che ci sarei arrivato, a questo Natale: il
primo Natale senza Lisa e senza i suoi occhi blu. E in ogni caso non credevo
che ci sarei arrivato così. Infatti, probabilmente, non ci sono arrivato.
Questo qui, che sta aspettando il Natale, è un altro. Io
non ci sono qui. Non ci sono più, sono andato un attimo di là.
Torno subito lasciate un messaggio.
Ma poi torno, lo giuro di fronte a Dio, se si decide ad
uscire fuori dall’acqua.
Perché è fredda, la notte del Santo Natale 2005, il
Natale che non avrei mai immaginato di vivere.
Ecco, si.
Qui siamo dietro un angolo che non dovevo voltare. E se
mi guardo indietro, prima della svolta, non trovo più nulla.
Non c'è più nulla.
Sono… anestetizzato. Perfino il freddo non punge.
E una sensazione prepotente d’irrealtà mi avvolge.
Come lana di vetro.
Che non scalda, ma irrita la pelle.
In alcuni momenti, nel corso della vita, mi è capitato di
vedermi da fuori, c’avete presente quando voi rimanete lì con i piedi
desolatamente inchiodati alla terra e lo sguardo puntato su un qualsiasi
orizzonte a caso, ma contemporaneamente vi immaginate di salire in cielo a
cavalcioni di un dolly metafisico e guardarvi da lassù, piccoli e indifesi come
formichine e anche un po’ insignificanti?
Questo è uno di quei momenti.
Chissà che sta facendo, ora Lisa.
E cosa fanno i suoi occhi blu.
Da lassù in cima, aggrappato all’asse metallico del
dolly, mi vedo qui giù, ineffabile, in piedi sul molo con le mani affondate
nelle tasche del giaccone, e quello sguardo frastornato e annoiato, la sciarpa
a coprire la bocca… poi la scosto, però, per dare ancora un altro tiro alla
sigaretta che mi causa un improvviso, violento, accesso di tosse.
Che ci sto a fare qui?
No, non “qui a vedere il bambinello che esce dagli
abissi…”
Qui-qui.
Che ci sto a fare QUI: da questa parte della pagina, quella
che ho voltato.
All’incipit di questo capitolo che non conosco, che non
mi piace, che mi sconcerta… che ci sto a fare? …e soprattutto, che cosa voglio
fare? Mi scopro, di colpo, ad illudermi in meteoriche astrazioni, illusioni
di un futuro che è ben al di la dal rivelarsi… di giorni di sole, e di sapore
d’altre labbra, di vento tra i capelli… bah.
Il bambinello è ancora sotto il pelo dell’acqua, e il
prete sta già sul molo, intirizzito nella sua sottana nera.
I chierichetti si guardano intorno e salutano papà con la
manina.
Nasce per noi
Cristo Salvatore,
Venite
adoriamo, venite adoriamo,
Venite
adoriamo il Signore Gesù.
Vedi, io non so perché ti
dico tutto questo. Come avrai ormai capito, non va da nessuna parte. Gira su se
stesso come un criceto in una ruota. (corri, corri pure… sempre qui stai…)
Ma stanotte le parole
vogliono uscire. Sono avaro di particolari, lo so. E tu vorresti il disegno del
sorriso di lei.
Sai già che aveva gli
occhi blu, Lisa.
Ma non aveva più le
trecce.
E senza non sembrava la
stessa.
Ma tu vorresti di più,
vero?
Vorresti gli accenti delle
sue risate (non erano cristalline, erano… arrugginite. La sua voce era
sgraziata. Eppure era la sua.)
Vorresti i brandelli del
suo corpo, sporzionato in dadini sanguinolenti e vorresti la mia mano che te li
porge sulla lingua protesa, vorace, ingorda, maledetto cannibale.
Vorresti vita, morte e
miracoli di Lisa, e il lampo malvagio di quello sguardo azzurro, quando ha
detto che le dispiace, ma non potevamo continuare così.
E vorresti il mio
silenzio, perché lei aveva ragione.
E vorresti l’arco del mio
sguardo che si abbassa al pavimento. E il brivido sulla schiena, la vertigine
che ho sentito in quel momento, sporgendomi dal baratro, per guardare giù, il
futuro. E capendo che sarebbe stato un futuro senza Lisa.
Tutto questo vorresti,
perché sei un voyeur.
Come lo sono io, mentre mi
spio vivere, e lo metto su carta.
Ma non c’e’ nulla di
intimo, nella descrizione degli occhi di una donna.
(Erano belli, va bene?
Erano belli. Blu, e profondi, e infidi e sfuggenti, e ridenti e belli. Ma se lo
dico io non vale, tu lo capisci…) Non c’e’ nulla di eccitante nel ricordo del
suo seno sotto le mani
(Era pieno, e florido.
Lievemente sfiorito. Ma cosa c’e’ di eccitante se lo dico io? Che ne sai, se il
ricordo così come te lo offro non stia rendendo una realtà prosaica più
desiderabile del vero?)
Sei un guardone, ecco cosa
sei.
Vai via di qui e lasciami
al mio dolore privato.
La luce del
mondo brilla in una grotta
la fede ci
guida a Betlemme!!
C’e’ un brivido, sotto il pelo dell’acqua, ora.
Forse il bambinello sta per riemergere. (Ma quanto cavolo
in profondità lo seppelliscono, sotto quanta acqua giace, la luce del mondo?)
Forse aspettano la mezzanotte esatta per tirarlo fuori.
Forse i sub sono la, sotto la superficie, alcuni
centimetri sotto, e qualcuno dalla barca infila il braccio in mare per fargli
vedere che non è ancora il momento di salire…
E loro stanno lì, e attendono.
Chissà se là sotto si sente, questo canto questa nenia
che continua come se fosse sempre esistita.
Chissà se cantano anche loro, là sotto.
Se le bollicine dei loro boccagli, scoppiando a contatto
col pelo dell’acqua, liberano minuscoli brandelli di canzone….
Nasce per noi
Cristo Salvatore,
Venite adoriamo,
venite adoriamo,
Venite
adoriamo il Signore Gesù.
Era bella, Lisa. Per dio
se era bella.
Potrei riempire pagine e
pagine, di - quella volta là… e
quell’altra che…. E mi ricordo, oppure… - Ma non è questo che ti racconterò, mi
dispiace deluderti. E non puoi neanche lamentarti, perché non hai pagato il
biglietto.
Non racconterò questo,
perché non è questo che mi devasta l’anima.
È il rinnovamento, la mia
sentenza di morte. Molto più delle mie sessanta Marlboro al giorno.
Vedi, è l’impossibilità di
rinnovarmi che mi impianta le unghie nell’anima e ne strappa brandelli,
sputandoli al vento.
Nulla si rinnova.
Non solo io, nulla si
rinnova, è un’illusione, il rinnovamento.
Quello che non si decide a
manifestarsi, come questo bambino che non vuole uscire dall’acqua.
Il prete batte lievemente
i piedi per terra, per combattere il freddo. La gente borbotta. Non tutti
stanno cantando, ora.
Perché il rinnovamento è
un attimo, lo diciamo sempre.
“Ti svegli una mattina e
ti accorgi che hai svoltato davvero. Che stai bene. Ed hai di nuovo voglia di
vita…”
Ma intanto, è mezzanotte e
cinque, e il bambinello non esce.
La notte risplende, tutto il mondo attende
seguiamo i
pastori a Betlemme!
Ora, io non so dove sto andando a parare, peggio per chi
mi ha seguito fin qui. Magari mi avesse seguito Lisa. Saprebbe quanto soffro
per lei, e forse avrebbe voglia di tornare indietro. Ma magari no. E magari non
è questo che voglio. Non lo so.
So che vorrei che la vita mi desse un segno. Vorrei
sollevare lo sguardo al cielo, e veder fioccare meteoriti e stelle cadenti.
Oppure il solleone.
Ecco sì.
Il solleone a mezzanotte e dieci, la notte di Natale. 25
dicembre. Quello sì, che sarebbe un segno. Inequivocabile…
Nasce per noi
Cristo Salvatore.
Venite
adoriamo, venite adoriamo,
Venite
adoriamo il Signore Gesù.
…ma poi?
Cosa cambierebbero, in questa vita un po’ sfilacciata, in
cui sono inciampato, da questa parte dell’angolo?
Vorrei che un angelo dal cielo, San Michele Arcangelo coronato
di fulmini, scendesse e mi percuotesse con la sua spada.
E mi rendesse nuovo.
Pulito e vergine come il culetto di un neonato. Che mi
rinnovasse il Jackpot, tanto per permettermi di sperperarlo un’altra volta. Senza
Lisa e i suoi occhi invadenti oddio sì!
Senza di lei, finalmente.
Stanotte, per un attimo, mi sembra possibile.
Vedi, amico mio, sei gentile ad avermi seguito fino a
qui, in questa lunga attesa.
Vedi… il rinnovamento non è una parola magica. Forse
sorge dalle acque. Ma è solo il principio di un altro, ennesimo, ciclo.
E allora perché lo desideriamo e percorriamo di nuovo
quei sentieri? Forse, per illuderci di vivere.
Perché ognuno ha la vita che si merita.
Di colpo, mi scopro a desiderare che quel povero cristo
bambino non esca mai più, da quelle acque maleodoranti di carburante per barche
a motore.
C’e’ una pellicola sottile, sul pelo del mare. E’
traslucida. Forse sono ancora gli oli solari di quest’estate. Forse è solo che
è notte, e la tensione superficiale, col freddo aumenta.
Ma vorrei non si infrangesse mai.
Che quel puttino dalle guance bianche e rosse restasse la
sotto, in eterno, sbattuto dalle correnti, a marcire.
Non uscire, Bambino Gesù.
Fai questo miracolo di Natale.
Dimostra a me, e al mondo, che il cambiamento e il
rinnovamento sono una gabola. Che ambedue sono invenzioni per i fessi, come la
fine del mondo dei Maya. Vermi di terra che si ritorcono su se stessi e si
avviluppano in un nodo senza futuro.
Non rivelarti, Bambino Gesù.
Fammi questo dono.
Così sarò meno solo, in questa nicchia del tempo da cui
non so uscire, come tu non esci dal mare. Fallo per me. Regalami una notte
speciale, non uscire…
Il figlio di
Dio, Re dell'universo,
si è fatto
bambino a Betlemme!
E invece no.
E invece esce, sembra quasi che abbia gusto, a smentirmi.
E alle vecchiette si inumidiscono gli occhi.
E’ nato ancora una volta.
E’ nato per morire tra tre mesi, per i peccati che loro,
poverine, non possono più fare.
O che probabilmente, non hanno mai fatto.
E che io, lo prometto, farò ancora, di nuovo.
Come fumare. Lo so bene che mi ammazzerà. Ma qual è
l’alternativa?
E allora continuerò ad essere disperso e sconcertato,
senza via e senza speranza, come sono e fui. Produrrò peccati, te lo prometto.
Ma lo farò per te, Bambino Gesù.
Per dare un senso al tuo prossimo emergere dalle acque.
Ti guardo, mentre i sub ti depongono sulla conchiglia. Sorridi, di quel sorriso
senza consapevolezza dei cartoni animati che ti hanno disegnato in viso.
Ma forse sono io che ti vedo così, e sto sbagliando
tutto. C’era qualcosa che dovrei ricordare, era sepolta laggiù in fondo in cima
all’infanzia…
Ma ora non la so più.
Lenta, morbida, con l’incedere tranquillizzante delle
cose concrete, delle cose che si conoscono bene, quelle di ogni giorno, la processione
si avvia.
Nasce per noi
Cristo Salvatore.
Venite
adoriamo, venite adoriamo,
Venite adoriamo il Signore Gesù…
Ora il prete canta nel microfono, e il megafono gracchia.
Il bambino ondeggia, le manine protese in un gesto di
benedizione. Ma chi gliel’ha insegnato, a benedire, se è appena nato, se è
nuovo?
Ma è davvero nuovo?
Non è lo stesso pupazzetto dell’anno scorso?
Dio, quanto vorrei crederti.
Sorride, lui.
Mi sta dicendo che tutto è stato perdonato, prima ancora
che avvenisse.
Inutile peccare, in queste condizioni. Come sporcare una
parete il giorno prima che venga ridipinta.
E lui, sorride.
Che ne sai, tu, che c’era lei. E che ora non c’e’ più.
Che ne sai. Lisa aveva gli occhi blu, ed era bella e spietata.
Ma vedi, era un’illusione anche lei. Come se per sopravvivere
avessi scelto di giustificarmi in qualcun altro.
Ma tu queste cose non le sai ti occupi di altre cose,
tipo eternità e infinito. E io gioco coi miei piccoli giocattoli, risposte
insignificanti come trovare la forza per dimenticare Lisa, o il coraggio di
accettare la vecchiaia. Cosette, che tu non sai nemmeno.
O forse no. Le sai, tu sai tutto, sei onnisciente, in
cielo in terra e in ogni luogo… le sai, ma non le ritieni importanti.
Perché in quel tuo sorriso da putto insopportabile che
hai stampato sulla faccia c’è la certezza che tutto il male del mondo possa
essere perdonato, e rinnovato, prima o poi.
E certi momenti mi viene voglia di pensare che devi aver
ragione tu, altrimenti non vale.
Ma poi non ce la faccio, ti chiedo perdono.
Anzi, chiedo perdono a me stesso.
E allora, bambin Gesù, lasciati portare in chiesa dalle
pie donne, ti stanno aspettando, non senti le campane?
Io come sempre rimarro’ fuori.
A fumare.
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