domenica 24 marzo 2013

Er rospo Grasso.


Ma sai che c'è? 
Ha ragione Trilussa. Non farò polemica, promesso.
Stanotte il poeta di Roma (o forse non era lui, ma una macchietta, chissà) è apparso in sogno, in contemporanea, a Peter Exacoustos, ad Alessandro Pondi, e a me. Dice: in questo serraglio che c'avete attorno, vi preoccupate se un rospo gracchia? Un rospo Grasso, oltre tutto. Un rospo che cerca di convincere la gente che se ne intende parlando male di chi le cose le fa.
Salvo rare eccezioni: 
- uno, quando è evidente che un lavoro è un disastro. In quel caso, tanto per sentirsi terzista, unico depositario dell'esercizio del cervello e pensatore autonomo fuori dal coro, lui ne parla bene.
- due, quando il soccorso della Croce Rossa su carta stampata è l'unica chance del moribondo, tanto indispensabile che il suddetto farebbe qualsiasi cosa, pur di essere sostenuto ed additato come un esempio di ottima televisione. Proprio qualsiasi cosa.
- Tre, in caso di fiction americane, che a scatola chiusa sono belle. Non che spesso non lo siano, ma certo apriorismo per cui il nostro grida al miracolo per qualsiasi cosa che arriva dagli USA, ricorda tanto una macchietta di Sordi, in cui gli amaragani mangiano Milc, tomatocheciap... ricordate?  

Ma ho promesso di non far polemica, e non ne farò. Ero qui per raccontarvi di stanotte. Il poeta è apparso in sogno a tutti e tre, e si è messo a recitare a braccio. (Se era una macchietta asservita al pensiero unico, era bravino comunque, coi versi.)
Mi sono svegliato in tempo per trascrivere, e stamattina ho confrontato con Peter e con Alessandro.
Pare che anche loro ricordino versi analoghi.
Eccoli, per onor di cronaca.






Er Rospo Grasso




‘Io so er re de lo stagno’
se gonfiò un rospo
‘più me sgolo e sputo
e più guadagno.’

Abbarbicato a un sasso nel farsi de la sera
Fissava l’acqua co’ l’aria di chi spera
de vede’ balla’ li moscerini
pe’ dì: ma guarda quanto so’ cretini!

Grasso e grosso er rospo dello stagno
S’aristava  a sciacquettà dentro a la fanga.
In mezzo alla marana puzzolente,
attorno a lui nun se moveva niente.

Ma quando che provava a fa’ er cantante
je usciva solo un verso oripilante,
che pure li serpenti,
che c’han la pelle dura,
dicevan: “che finisca ‘sta jattura!”

Ma al rospo grosso e Grasso, poverello,
de cantà je piaceva, e mica solo quello.
Ma appena che provava a dare voce,
quell’antri se segnavan con la croce.

Allora sai che fece st’impunito?
Se mise a criticà le antre rane,
dicendo che cantavano da cane.
E nun capendo che tra’r dire e ‘r fare,
come se dice c’è de mezzo er mare,
se pensava che bastasse criticare
le antre rane cor suo gracchiare.

E così er rospo Grasso e grosso,
che gnente  nun sa fa’, se non der danno,
parla e critica quell’antri che lo fanno.
Se ne sta aggrappato come un ragno
su quel sasso nel mezzo de lo stagno
tra quella puzza che gli offende il naso,
aprendo bocca e dando fiato a caso.

Così se gonfia er rospo
Grasso e grosso
sente l’odor di putrido che spande
e finalmente un po’ se sente grande.

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