Ma sai che c'è?
Ha ragione Trilussa. Non farò polemica, promesso.
Stanotte il poeta di Roma (o forse non era lui, ma una macchietta, chissà) è apparso in sogno, in contemporanea, a Peter Exacoustos, ad Alessandro Pondi, e a me. Dice: in questo serraglio che c'avete attorno, vi preoccupate se un rospo gracchia? Un rospo Grasso, oltre tutto. Un rospo che cerca di convincere la gente che se ne intende parlando male di chi le cose le fa.
Salvo rare eccezioni:
- uno, quando è evidente che un lavoro è un disastro. In quel caso, tanto per sentirsi terzista, unico depositario dell'esercizio del cervello e pensatore autonomo fuori dal coro, lui ne parla bene.
- due, quando il soccorso della Croce Rossa su carta stampata è l'unica chance del moribondo, tanto indispensabile che il suddetto farebbe qualsiasi cosa, pur di essere sostenuto ed additato come un esempio di ottima televisione. Proprio qualsiasi cosa.
- Tre, in caso di fiction americane, che a scatola chiusa sono belle. Non che spesso non lo siano, ma certo apriorismo per cui il nostro grida al miracolo per qualsiasi cosa che arriva dagli USA, ricorda tanto una macchietta di Sordi, in cui gli amaragani mangiano Milc, tomatocheciap... ricordate?
Ma ho promesso di non far polemica, e non ne farò. Ero qui per raccontarvi di stanotte. Il poeta è apparso in sogno a tutti e tre, e si è messo a recitare a braccio. (Se era una macchietta asservita al pensiero unico, era bravino comunque, coi versi.)
Mi sono svegliato in tempo per trascrivere, e stamattina ho confrontato con Peter e con Alessandro.
Pare che anche loro ricordino versi analoghi.
Eccoli, per onor di cronaca.
Er Rospo Grasso
‘Io so er re de lo stagno’
se gonfiò un rospo
‘più me sgolo e sputo
e più guadagno.’
Abbarbicato a un sasso nel
farsi de la sera
Fissava l’acqua co’ l’aria
di chi spera
de vede’ balla’ li
moscerini
pe’ dì: ma guarda quanto
so’ cretini!
Grasso e grosso er rospo
dello stagno
S’aristava a sciacquettà dentro a la fanga.
In mezzo alla marana
puzzolente,
attorno a lui nun se moveva
niente.
Ma quando che provava a fa’
er cantante
je usciva solo un verso
oripilante,
che pure li serpenti,
che c’han la pelle dura,
dicevan: “che finisca ‘sta
jattura!”
Ma al rospo grosso e
Grasso, poverello,
de cantà je piaceva, e mica
solo quello.
Ma appena che provava a
dare voce,
quell’antri se segnavan con
la croce.
Allora sai che fece
st’impunito?
Se mise a criticà le antre
rane,
dicendo che cantavano da
cane.
E nun capendo che tra’r
dire e ‘r fare,
come se dice c’è de mezzo er
mare,
se pensava che bastasse
criticare
le antre rane cor suo
gracchiare.
E così er rospo Grasso e
grosso,
che gnente nun sa fa’, se non der danno,
parla e critica quell’antri
che lo fanno.
Se ne sta aggrappato come
un ragno
su quel sasso nel mezzo de
lo stagno
tra quella puzza che gli
offende il naso,
aprendo bocca e dando fiato
a caso.
Così se gonfia er rospo
Grasso e grosso
sente l’odor di putrido che
spande
e finalmente un po’ se
sente grande.
Nessun commento:
Posta un commento