giovedì 5 luglio 2012

LA MARTINI PORTA SFIGA



Come si dice in questi casi: io non l'ho conosciuta bene quanto avrei voluto. 
Ma sicuramente, conoscendola, qualcosa mi è vibrato dentro. 
Ai tempi mi occupavo della pagina musicale di Unomattina. Era il 1989, davvero secoli fa. E ricordo perfettamente quell'infame campagna di cui fu fatta bersaglio. 

La Martini porta sfiga.



La ricordo, come no. Ricordo i sorrisetti indulgenti quando qualcuno faceva una battuta, quell'ammiccamento come a dire: lo sappiamo tutti, no? Lo ricordo e personalmente mi vergogno. Non per averlo mai detto, questo no. 
Ma per non essermi mai incazzato a dovere, le decine di volte che ho sentito quella schifosa battuta.
Perché ha - aveva - ragione Gabriella Ferri. Tutti, o più probabilmente molti, si devono vergognare. Perchè se ci si pensa a mente fredda, è davvero una stupidaggine, essere tacciati di portar sfiga. Ma ci pensi a mente fredda quando non si tratta di te. Quando non vedi - e lei li vedeva - i gesti scaramantici e gli scongiuri, quando i conformisti della prima e dell'ultima ora non cominciano ad evitare di invitarti alle trasmissioni musicali o alle serate.
Perchè nel mondo dello spettacolo di gente che vive di sentito dire ce n'è eccome. Gente che ripete a pappagallo cose che neanche conosce, ma che ha ascoltato da qualcun altro, ad una cena, ad un cocktail, in un corridoio...
Non c'è stata una regia malvagia. 
Il calvario di Mimì è nato così. Con un coglione che ha iniziato e una serie di coglioni che hanno ripetuto a pappagallo.



La Martini porta sfiga.

E la Martini, con quel suo sguardo di scanzonata ribelle sconfitta e impossibile da sconfiggere, con quei suoi occhi da pantera triste, e' stata il primo carnefice di sè stessa.
Raccontava Renato che  la conosce fin da bambina, praticamente, che era lei la prima a chiamarsi fuori non solo dalle occasioni pubbliche, ma addirittura da quelle private, per paura di mettere a disagio gli altri.
Perchè...

...la Martini porta sfiga.

E così.

In quel 1989, con un tremito dentro la pancia, dove gorgogliava tutta la rabbia che da donna di Calabria aveva ingoiato e lasciato fermentare dentro, era salita sul palco dell'Ariston ed aveva urlato, con quella sua dolcezza da pantera offesa, che la gente è strana, prima ti odia e poi ti ama.
E quasi, con uno sguardo che continuava ad appuntarsi sulla platea e poi a sfuggire altrove, aveva cercato di giustificarli, quei carnefici che   "ciecamente" e "scioccamente" seguono le parole d'ordine e ripetono a pappagallo gli slogan.
Ora sia chiaro, non so a cosa pensava Mimì quella sera, mentre puntava quello sguardo di carbone di Calabria proprio al centro dell'ottica della telecamera e cercava di convincersi che non aveva paura a sfidare il mondo, e che l'esilio era finito.
E che quella frase: 

...la Martini porta sfiga... 

...era l'ora di farla sparire.
"Almeno tu nell'universo" era un pezzo di Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, scritto nel  1972, quindi contemporaneo a "Piccolo Uomo".
Ed aveva viaggiato nello spazio e nel tempo per arrivare all'appuntamento con la rinascita, l'ennesima rinascita di Mimì.
Era rinata dopo molte cose, Mimì.


Dopo un padre violento che era sparito - o avevano abbandonato, sua madre, le sue sorelle, e lei - quando era bambina.
Era rinata al carcere, quattro mesi con l'infamante accusa si spaccio di droga per una caccola di fumo in borsetta. (per inciso, fu assolta con formula piena, dopo quattro mesi di calvario)
Era rinata al suo cuore spezzato, ed ora rinasceva a quella frase:

...la Martini porta sfiga.

In un film americano con un lieto fine ad orologeria, Mimì quel Festival lo avrebbe vinto. E se vogliamo dirla tutta, anche in una competizione in cui si fosse premiato il valore artistico, la tecnica, la canzone. E l'emozione, le secchiate di emozioni che quella sera Mimì vomitò in faccia al pubblico dell'Ariston e alla platea televisiva.
La pantera ferita era tornata. Arrabbiata e travolgente. Arrivò nona. E fu premiata con l'immancabile premio della critica che aveva già vinto nel 1982 con "E non finisce mica il cielo", scritta per lei da Ivano Fossati, già.


Chissà se il premio della critica, che ora è intitolato proprio a lei, era sufficiente a ripagarla di quelle infinite rinascite.
Probabilmente no. Ma chissà se vincere avrebbe cambiato davvero le cose.


La conobbi il mese dopo quel Sanremo. Me la presentò Willy David, che a quel tempo era il suo manager, ed ebbi la fortuna di girare, come regista, il filmato di "Almeno tu nell'universo" per la RAI.
Filmato che non c'è più, è stato smagnetizzato.
Girammo quel video con pochissimi mezzi, tra Circo Massimo e Caffè greco. In una scena, c'era un pupazzetto a molla che saltava fuori da una scatoletta: mezzi spartani, e quindi lo avevo portato da casa. Si toccava il coperchio, si apriva a scatto e boing! oscillava con quella buffa faccia da pagliaccio. E Mimì rideva, a crepapelle. 
"Non sto recitando, mi fa morire dal ridere davvero."
"Te lo regalo."
Un mio regalo è stato, mi piace pensare, in casa di Mimì per qualche anno. L'ho rincontrata altre volte, da allora, ma quei due giorni in cui abbiamo girato il video sono stati speciali. Intimi, lunghi, faticosi e... malinconici. Allora non capivo, oggi forse sì. Ci sono le volte che i risarcimenti arrivano fuori tempo massimo. Forse per lei era così. Oggi mi piace pensare che fosse così. Ma allora non capivo e così, in una pausa, di fronte ad una macchinetta del caffè della Trafalgar, la mitica sala di registrazione dove è stata registrata una bella fetta della storia della musica italiana degli anni settanta e ottanta, la studiai di sottecchi, mentre lei assorta guardava altrove. Ero giovane, non avevo ancora molte parole. Cercai, almeno, di strapparle un sorriso.
Le dissi: 
"Sono convinto che tutto l'amore che ti circonda un questo momento derivi dalla voglia di rivederti, ma anche da un po' di senso di colpa."
L'ho premesso, ero giovane. Probabilmente non era quello, il modo per farla sorridere. Sollevò gli occhi e me li puntò in faccia.
"Questo non posso dirlo io."
Rispose. Mi fissò ancora un attimo, come aveva fatto quella sera sul palco dell'Ariston, prima di distogliere gli occhi.
"Ma comunque non importa più."
Però, non sorrise.


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