Ogni anno torno
dal Pigro con qualche certezza. La prima, scusatemi la botta di presunzione, è
di essere stato amico di un grandissimo musicista, di un grande cantautore e di
una persona speciale. E a questa certezza
si aggiunge, ovviamente, il rammarico di quanto presto si sia interrotto tutto questo. Perchè Ivan, con la sua ironia scanzonata, con le sue fughe in avanti a cui seguiva quasi immediatamente quel distogliere d'occhi tipico di un timido che diventa aggressivo, era esattamente questo: una persona speciale.
Che non vuol dire dotata di particolari doni morali o intellettuali, o di una parure di verità rivelate. Vuol dire, a mio modo di vedere, una persona ricca, piena di capacità di empatia e di comprensione – e come altro potrebbe essere, viste le canzoni che scriveva – una persona che sapeva dimostrare affetto e soprattutto capace di stupirsi dell’affetto che riceveva. Perché mai ho avuto l’impressione che lo ritenesse dovuto, per il solo fatto di avere scritto cose stupende ed avercele regalate.
Lo stupore, mi
pare, la sua capacità di guardare il mondo con gli occhi di un ragazzino, di
ridacchiare per lo zio prete che scivola sulla buccia di banana, di incantarsi
di fronte alla nebbia che sale – ad Urbino, nella fattispecie – mi pare una
delle doti più belle di Ivan, insieme alla sua voglia di raccontarsi e
raccontare storie e favole, di preti demoniaci, fuochi sulla collina che altro
non sono che fari puntati sul campo (illuso, romantico e fesso), la stessa
voglia che hanno gli adolescenti di sedersi attorno al fuoco e ascoltare o
affabulare, stupire, sedurre e conquistare.
Ma insieme, quello stupore, quella capacità di farsi colpire dalla bellezza, di cogliere nelle durezze del quotidiano il segno di un senso – quale Ivan non sapeva, e spesso neanch'io, ma lo vedeva, e anch'io lo vedo – questa capacità di intuire che il bello non può essere per caso, ecco, questo sì, lo fa speciale.
La seconda
certezza con cui torno indietro ogni volta dal Pigro Cantautori in Vigna è che
Ivan Graziani ha avuto dalla fama e dal pubblico molto meno di quello che
avrebbe meritato.
Sia perchè, in quello scorcio di anni settanta in cui la musica italiana - quella di cui val la pena di parlare - era divisa tra progressive e cantautorato, spesso troppo ermetico ed introspettivo (lo dico avendo amato quelle canzoni ed amandole ancora di amore imperituro), Ivan aveva aggiunto due ingredienti miracolosi che pochi altri, fino ad allora, avevano frequentato nella canzone d'autore: l'ironia e il rock. Per l’ironia,
forse, anzi di certo, c’era anche Rino Gaetano. Ma per il rock, per lo meno
nella canzone d’autore, c’era solo lui.
E Ivan,
lasciatemelo dire, era un chitarrista della Madonna (che credo non se la
prenda, se la uso come termine per definire l’assoluto): ricordo di avere,
immeritatamente e temerariamente, suonato l’acustica insieme a lui in una
ripresa che facemmo per Unomattina di Lugano addio. Sia chiaro, non si trattava
di una esecuzione professionale, ma di un backstage simulato della serie
ilgrandecantautoresuonacongliamiciil suopiùgrandesuccesso. Non che servisse il
mio contributo, era un pegno di amicizia, a suonare ero una capra, ma a lui
piaceva soprattutto perché la mia incapacità manifesta gli permetteva battutine
ironiche e affettuose.
Ma sto divagando.
Torno dal Pigro
certo che la capacità di Ivan di raccontare storie, piccoli film di vita di
provincia e di coniugarli sulle pentatoniche e sulle seste del rock sia unica
in Italia, e che abbia avuto meno visibilità di quanta meritasse. Verrà tempo
per impegnarsi su questo, lo faremo. Lo dobbiamo fare.
Questa certezza è evidente soprattutto
quando, nel corso delle esecuzioni delle cover fatte dai giovani finalisti del
premio saltano fuori, improvvisi e luccicanti, dei cristalli di rock. Dei
vincitori parlerò dopo, ma voglio dire che l’esecuzione di “Fame” un gioiello
meno conosciuto di Ivan fatta dai Malamadre mi ha fatto venire I brividi.
I giovani,
appunto. E questa è la terza certezza con cui torno indietro ogni anno dal
Pigro. Ci sono in Italia moltissimi talenti musicali, giovani appassionati di
musica e di polvere di palcoscenico e non carne da reality, e quei giovani
hanno bisogno che sia dato loro spazio, visibilità, e soprattutto, consigli.
In questi anni ho
visto vittorie a mani basse, per manifesta superiorità, come è stato nel caso
di Angelica Lubian nel 2012, ma principalmente ho assistito a finali in cui il livello medio era buono, i musicisti tutti più o meno preparati, ma in pochi riuscivano ad avere il guizzo.
Capisco che siamo
in un periodo in cui nessuno rischia, primi tra tutti I discografici che
purtroppo non vendono dischi e quindi – e posso anche capirli – vanno sul
sicuro. Ma capisco anche che senza un minimo di azzardo la musica muore.
Per converso, mi è
parso che anche il concetto di azzardo dovrebbe essere messo a fuoco e discusso
coi giovani. Perché gli azzardi che hanno cambiato la storia avevano sempre
dietro una cultura e un pensiero. E invece, a volte, mi è parso che l’azzardo
soprattutto nelle cover nascesse un po’ da un atteggiamento ‘o famo strano, che
a mio parere difficilmente porta da qualche parte.
Mi fermo un attimo
prima – spero - di diventare noioso e paternalista. Quest'anno il premio Pigro l'ha vinto Chiara Vidonis con Comprendi l'odio, e Adriano Tarullo e la sua Sband hanno conquistato il premio IvanCover con la loro versione di "Il prete di Anghiari" Auguri a loro, perchè se la buona musica prende la via del mondo, è sempre un'ottima notizia.
Voglio dire che
però è bello ritrovarsi ogni anno insieme ad Annina Graziani, Filippo Graziani,
Tommaso Graziani, a bere vino e parlare di rock. E a suonarlo e a sentirlo.
Ed è bello anche
perchè lo si fa insieme a tanti amici di musica e di pensieri, che da un anno
all’altro cambiano, ma poi alla fine fanno parte della stessa tribù. Duccio
Pasqua ed Andrea Scanzi, i direttori artistici, e I membri della giuria: Fausto
Pellegrini (Rai News 24), Elisabetta Grande (Radio1 Rai), Roberta Balzotti (GR1
Rai), Diletta Parlangeli (Il Fatto Quotidiano, Wired Italia), Mario Masi
(Itali@Magazine), Gabriele Antonucci (Il Tempo), Fabio e Cristiano Furnari
(Terre Sommerse), e negli anni Piji Siciliani, Nicola Sisto, Enrico de Regibus...
Detta così, sembra
una cosa paludata ed istituzionale, ma per fortuna il premio si tiene in una
vigna, quella delle cantine Zaccagnini, e la stanza in cui si riuniamo è piena
di botti.
E quelle botti,
sono piene di musica.
Che garantisce l’ultima
certezza che mi porto via tornando dal Pigro. Che ci sarò ancora, l’anno
prossimo.
Perchè ci sono
cose che danno gusto alla vita.
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