Tra pochi giorni sarò di nuovo a Sarzana e a La Spezia a parlare di libri. Mi fa sempre uno strano effetto affacciarmi nella mia città e parlare di carta sulla quale tra le altre ci sono scritte parole mie. Forse perchè vista da là, con gli occhi di adolescente, questa cosa mi sembra enorme: che ci siano libri che immeritatamente portano sopra il mio nome.
E allora mi è venuto in mente dove è nata e si è formata, quella passione per la lettura. La scoperta di Pavese, Pessoa, Leopardi, Calvino...
E frugando nelle pieghe dei ricordi, tra le altre cose, è venuto fuori il volto di un vecchio libraio, che qualche colpa, se ho fatto quelle letture, ce l'ha.
E un nome: Attilio del Santo.
Gli dedico questo ricordo.
Se dovessi citare una sua frase, un
motto da consegnare ai posteri, non saprei dire.
Ma l’immagine di Attilio Del
Santo, circondato da quella muraglia di libri, appoggiati dovunque, e solo
all’apparenza alla rinfusa, sugli scaffali, sul banco di vendita, per terra,
quella sì, che è nitida.
Ed è legata ad un periodo preciso
della mia vita, tra l’inizio del liceo e l’università, quindi buona parte degli
anni ‘70.
Poi andai via da La Spezia, e
molti legami con la città si sono inevitabilmente allentati, ma tra le cose
indelebili di quegli anni c’è lui, e la sua libreria a metà di Corso Cavour,
dove ho passato parecchie serate assaggiando classici e nuove uscite, e
chiacchierando di questo e di quello. Conservo di Del Santo una sensazione di
pacata e garbata ironia, e di attenta passione per i suoi libri, come se
prendessero vita solo se consegnati nelle mani giuste.
Le grandi distribuzioni, i siti
nei quali comprare i libri a prezzi significativamente più bassi magari ci
permettono di risparmiare, ma la progressiva scomparsa del dettagliante –
questo in tutte le categorie merceologiche – ci sta privando di un ingrediente
fondamentale: il rapporto umano.
Il tuo verduraio lo sa, se ti piacciono i
pomodori pachino o i cuori di bue. E se gli capita di averceli belli, te li
propone appena entri. Se non addirittura, te li ha messi via per tempo.
Il tuo sarto, o il negoziante di
abbigliamento conoscono i tuoi gusti, se vesti classico o estroso, se hai
bisogno di vestiti che mascherino i chili in più, se hai la spalla cadente o il
baricentro basso. E sanno a colpo sicuro quali sono le cose da proporti.
E spesso ci azzeccano.
Del Santo impersonava la figura
di libraio nello stesso modo.
Era convinto, mi pare di capire
ripensandoci, che le mani dei lettori non fossero tutte uguali e che il suo compito
fosse cercare l’accoppiata magari non perfetta, ma la migliore possibile, tra
libro e lettore. Credo di capire che fosse certo che ogni libro cerca il suo
compimento in chi lo legge, e che non è vero che un lettore vale l’altro.
Come non è vero per i libri, del
resto.
E col senno di poi, è
assolutamente così.
E poi, lui non vendeva volumi. Trovava
una casa per i libri. E lo faceva con cura meticolosa.
Noi ragazzi si scendeva verso le
cinque e mezzo sei, per andare “in giù”, e le alternative erano
fondamentalmente due.
La vasca in via Chiodo,fino a Piazza Verdi dove ancora c'erano i pini, che era l'opzione un po' più
fighetta e rimorchiona, oppure il giro Via del Prione - Corso Cavour con tappa nei negozi di dischi (che allora erano ben tre in quella zona...) e un passaggio in libreria.
Io propendevo per questa
seconda opzione, e così, dopo avere occupato per un’oretta le cabine ascolto
dei negozi di dischi, almeno una mezz’ora nella libreria di Del Santo finiva
che ce la spendevamo.
Magari non ogni sera, ma spesso.
Ora, è evidente che a sedici,
diciassette anni tutti questi soldi per le mani non ce li avevamo. Eppure non
mi ricordo di averlo mai visto infastidito da questi ragazzotti che giravano, aprivano
e richiudevano, sfogliavano, commentavano e molto raramente – in proporzione
alle visite – compravano.
Anzi, più di una volta un
commento bastava a farlo entrare nel discorso, aveva una conoscenza
approfondita e meticolosa di opere ed autori, e quando parlava, a quel punto
c’era solo da ascoltare, perché lui ne sapeva veramente.
Può sembrare banale, un libraio che
si intenda di libri, ma in questa Italia di improvvisati neanche questo lo è.
Perché lui in mezzo ai libri era
a casa.
C’erano dei camminamenti, dentro la Libreria del Santo, tra quelle pile di volumi che ingombravano il negozio come un gigantesco gioco di costruzioni, e lui si muoveva bene, a colpo sicuro, a suo agio come Geppetto nel ventre della balena, per andare ad acchiappare proprio quel libro, quello che andava bene per te, qui, ed ora.
Non sto esagerando.
Era La Spezia degli anni settanta,
un’altra città, con pochissimi spiragli dai quali affacciarsi a guardare il
mondo, e noi diciottenni cercavamo dentro i libri e nei dischi la medicina allo sconcerto di vivere, e nel mio ricordo Del Santo non è un semplice libraio, ma
un taumaturgo, che prima di passarti l’erba medicamentosa che ti serve per
guarire ti studia con occhi attenti.
Cercava di capire se poteva fidarsi, a lasciare tra le tue mani questo o quel libro, se poteva dargli il permesso per andare via con te, se tu eri quello giusto.
E insieme, quale medicina
dell’anima fosse giusto prescriverti.
Anche se parlavi poco, andava a
pescare qualcosa tra le costole del cetaceo fatto di libri, e te lo porgeva.
“Leggi la prima pagina”
Diceva qualche volta.
E poi stava lì a studiarti di sottecchi mentre ti avventuravi tra le parole.
Che emozione irripetibile, spalancare la porta della copertina ed entrare in un libro.
Anzi, no, ripetibilissima, ogni volta.
Una nuova storia, un nuovo punto
di vista.
E lui sembrava quasi che sapesse,
ripetendosi a memoria dentro di sé la pagina che stavi leggendo, il punto in
cui in viso ti sarebbe spuntato un sorriso, o un’espressione di stupore.
Ora sto esagerando.
Ma sotto i baffi - ne sono certo,
allora ero adolescente e pensavo che ci fosse un trucco magico – lui sorrideva.
Ho fatto, nel ventre della balena
costruita coi volumi che era la sua libreria, la sua bottega alchemica, il suo
ritrovo di carbonari, parecchie scoperte importanti, di quelle che, se non ti
cambiano la vita, comunque te la segnano e ti offrono elementi a cui riandare,
ancora ed ancora, negli anni.
Alcune di quelle scoperte me le
ha consigliate lui. Altre le ho scovate frugando in una pila, e chissà che non
li avesse messi lì, in bella vista, quei romanzi, o quei saggi, o quelle
raccolte di poesia, proprio perché qualcuno le notasse.
Chissà se esagero. Ma anche se fosse, è bello crederci.
Ed ho sempre pensato che gli stesse benissimo addosso, alla fine di tutto, una frase che mi ero confezionato parafrasando de Andrè, e che fa così, più o meno:
“Non libraio, ma spacciatore di
libri.”
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