In occasione del compleanno del Re Lucertola, pubblico l'incipit del racconto che gli ho dedicato, contenuto nella raccolta "Pere Lachaise - Racconti dalle tombe di Parigi" a cura di Laura Liberale, edita da RATIO ET REVELATIO.
Parrebbe, a un primo sguardo distratto,
che la nebbia sia solamente una convenzione narrativa. Io dico che forse
sarebbe peggio venire qui – per dire – col sole e quaranta gradi all’ombra;
allora sì che la contraddizione sarebbe maggiore, dolorosamente stridente. Ma
tant’è. Mentre mi avvio nel vialetto, a passo lento, che camminare non mi
distolga dal guardarmi attorno, velature di bianco umido e stracciato stagnano
svogliate sul terreno, e tutto si adegua docilmente allo scenario di contrizione.
Mucchi di foglie svolazzano, sparpagliati da brezze gelide e acuminate, e i rami degli alberi sono crepe nere stampigliate contro il vetro del cielo.
Mucchi di foglie svolazzano, sparpagliati da brezze gelide e acuminate, e i rami degli alberi sono crepe nere stampigliate contro il vetro del cielo.
Ed eccomi qui, piovuto a sproposito in
un incipit dal vago sapore esistenzialista, grigio come il collo di pelo
sintetico del mio giaccone.
Divisione 6, giusto? Sei, conferma la
piantina che fatico a tenere tra le dita per via dei guanti. La porto con me, e
la consulto pure, anche se conosco perfettamente la strada, perché mi dà l’idea
di orientarmi in una dimensione sconosciuta.
In realtà so benissimo dove andare,
quasi a memoria.
Mi aggiusto la sciarpa e costeggio sulla
sinistra, e ad un certo punto taglio nell’interno, facendo scricchiolare il
ghiaino. Attorno, la sfilata di cappelle di marmo bianco e alberi neri, e
lapidi conficcate nella terra. Respiro l’aria gelida che mi pizzica la gola,
cerco di sentire il luogo, così drammaticamente immutabile da essere diverso,
ogni volta, per particolari infinitesimali.
E il freddo, stavolta, pretenderebbe di
essere metafora.
Vedi, io dico che dovremmo essere
avvertiti prima che finiremo a contare i secoli nella Divisione 23 – per dire.
Così, tanto per guardare il mondo con altri occhi.
Tanto per convincerci che
conviene fare in fretta, a trovare un senso e riscattare questa vita. Oppure
fare anche con calma, non è questo che importa, l’importante è trovarlo, un
senso. Se c’è.
Che poi, quale essere avvertiti prima.
Lo sappiamo tutti, come stanno davvero le cose, è che facciamo finta.
Oppure preferiamo imbottirci di sogni.
Eppure, in fondo al vialetto, che
diverge a quarantacinque gradi dal viale principale, si intuisce a malapena un
taglio di sole. Che se non ci fosse – per dire – non sarebbe poi questa brutta notizia.
Se
una mattina ti svegli e non vedi il sole, o sei morto, o sei il sole.
Mi dico, in uno sbuffo di vapore umido,
e sorrido tra me.
Penso a quante persone hanno ripetuto
questa frase annuendo con espressione assorta, come se stessero rivelando agli
amici una verità talmente assoluta che non vale neppure la pena di spiegarla – lo capisci
da te.
Oppure l’hanno postata su Facebook,
pillola di saggezza esistenziale in cerca di Like.
E non si sono neanche accorti che in
realtà era solamente un gioco di parole.
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